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Estrazione di dati e diritto sui generis della banca dati: la CGUE allenta le maglie.


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Il 24 giugno 2021, la Corte di giustizia ha deciso il caso CV-Online Lettonia contro Meloni (C-762/19) che riguardava la questione della verifica se la possibilità di visualizzare una banca dati di terzi tramite un motore di ricerca specializzato e reindirizzare gli utenti al sito web originale sono «riutilizzazione» della banca dati e - di conseguenza - una violazione del diritto sui generis su di essa. La questione si estendeva anche alla verifica se le informazioni contenute nei metatag di un motore di ricerca - che consentono di effettuare ricerche in banche dati appartenenti ad altri - rappresentano strumenti di «estrazione» ai sensi dell'art. 7. 2, lettera a), della direttiva 96/9.


Il diritto sui generis per le banche dati


I considerando 40 e 41 della direttiva 96/9, confermano che la ratio del diritto sui generis della banca dati è la protezione dell'investimento nella costituzione di banca dati mediante un diritto di esclusiva di impedire l'estrazione e il riutilizzo non autorizzati o di tutta la banca dati o di una parte sostanziale di essa. Il titolare del diritto della banca dati spetta insomma a chiunque abbia assunto un rischio finanziario investendo nella creazione (Sentenza CV-Online Lettonia, punto 22).


L'interpretazione dei concetti di "riutilizzo" e "estrazione"


La Corte di giustizia sostiene da sempre un'interpretazione estensiva dei concetti di «riutilizzo» e di «estrazione» (Sentenze Innoweb, Directmedia Publishing e The British Horseracing Board), identificandoli con qualsiasi atto di appropriazione o messa a disposizione del pubblico non autorizzata del risultato dell'investimento. Questo aveva portato a considerare illecito un motore di ricerca che consentiva agli utenti di ricercare i dati contenuti in una banca dati di terzi (sentenza Innoweb).


Nel caso oggetto di questo commento, il motore di ricerca estraeva i contenuti da banche dati di terzi e li utilizza per fornire un servizio. Per indicizzare su altre pagine Web, il database copiava inoltre queste altre pagine Web sui propri server. La Corte ha sostenuto che simili condotte senza l'autorizzazione dei titolari rappresentano casi di estrazione e di riutilizzo, ma solo a condizione che abbiano l'effetto di impedire ai titolari dei diritti delle banche di recuperare il loro investimento.


Il pregiudizio all'investimento del costitutore


La corte, nelle decisioni passate, aveva già chiarito che nozione di pregiudizio - per poter far scattare la tutela del diritto sui generis conferito al costitutore di una banca dati - deve essere intesa come danno significativo, da intendersi tanto qualitativamente che quantitativamente. Inoltre, era già stato chiarito che - quando il motore di ricerca che estrae i dati si inserisce in un settore di attività vicino a quello del costitutore della banca dati, l'attività genera un danno potenziale tale da mettere a rischio il suo investimento.


La Corte - nella decisione in commento - riconosce tuttavia che l'attività degli aggregatori di contenuti favoriscono la creazione di sistemi di archiviazione ed elaborazione dei dati che contribuiscono allo sviluppo del mercato dell'informazione dell'UE, in particolare migliorando l'esperienza degli utenti migliorando gli strumenti di accesso alle informazioni. Questa considerazione induce la Corte a riconoscere che i benefici apportati dagli aggregatori devono essere bilanciati con gli interessi alla remunerazione degli investimenti dei costitutori di banche dati.


Questo bilanciamento - per la Corte - spetta al giudice del rinvio, che deve valersi di due criteri:

- se l'ottenimento, la verifica o la presentazione delle informazioni rappresenta un investimento sostanziale del creatore del database; e

- se le attività di estrazione e riutilizzo da parte del motore di ricerca costituiscano un rischio per la possibilità di recupero dell'investimento.


Come si bilanciano gli interessi?


La Corte di Giustizia, con questa decisione, adotta un approccio meno rigoroso rispetto al passato (e meno tutelante per il titolare del diritto sui generis). E lo fa sulla base di considerazioni di natura concorrenziale, in sostanza riconoscendo che tanto i creatori di banche dati quanto i motori di ricerca specializzati contribuiscono allo sviluppo di un mercato dell'informazione dell'UE, verosimilmente a vantaggio degli utenti. L'idea che sta di

etro alla decisione pare essere quella secondo cui i titolari dei diritti sulle banche di dati non possano utilizzare il loro diritto per assicurarsi una posizione dominante con cui fare leverage nel mercato rilevante.


Il principio è interessante, ma desta qualche perplessità, nella misura in cui lascia al giudice nazionale il compito di "attenuare" le esclusive concesse dalla legge sulla base di criteri assai generici e che si prestano assai facilmente a diverse interpretazioni, dunque in sostanza contribuendo all'incertezza del sistema, che - a seconda delle differenti sensibilità delle giurisprudenze degli Stati Membri - finirà verosimilmente per creare soluzioni diverse nei diversi stati, richiedendo ulteriori interventi nomofilattici della Corte di Giustizia.


 
 
 

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