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Fintech e proprietà intellettuale. Un connubio non sempre facile, ma possibile (e conveniente).

Chi crea una nuova piattaforma di servizi online vorrebbe vedere la propria creazione tutelata contro ogni tentativo di imitazione. E gli sviluppatori di applicazioni nel settore Fintech non fanno naturalmente eccezione.


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Il problema principale che incontrano le imprese fintech in relazione alla tutela dei loro asset immateriali è rappresentato, quanto meno in Europa, dalla impossibilità di brevettare gli algoritmi e i business methods. Chi si appresta a lanciare una nuova piattaforma che veicola funzionalità e servizi nuovi, si sente spesso rispondere con dei "mi dispiace" quando chiede di brevettarla. Al massimo - si dice - si può tutelare la compilazione del programma, ma si tratta una tutela che non ha per oggetto il pezzo forte, ossia l'algoritmo o la serie di principi che danno vantaggio competitivo alla piattaforma.


Eppure gli strumenti ci sono. Per un verso la giurisprudenza dell'Ufficio Europeo Brevetti in punto di effetto tecnico sta iniziando a mostrare alcuni interessanti "cedimenti" a favore degli ideatori di software (ad esempio sotto il profilo delle simulazioni). Per altro verso il design delle interfacce è proteggibile contro l'imitazione. Ma, soprattutto, alcune recenti aperture giurisprudenziali - poco note anche agli addetti ai lavori - in relazione alla tutela di banche dati elettroniche (seppure in settori differenti) hanno enunciato del principi che potrebbero tornare assai utili per proteggere le piattaforme fintech anche nei loro algoritmi e in relazione ai principi di funzionamento che consentono determinate funzionalità. Non va trascurata neppure la disciplina contro gli atti di concorrenza sleale che - sulla scorta di decisioni sempre più favorevoli agli innovatori (specie del Tribunale delle Imprese di Milano) - consente di colpire alcune ipotesi di appropriazione dei risultati della creatività e del lavoro altrui, che solo qualche anno addietro sarebbero state invece del tutto ignorate dai Giudici.


Altro capitolo che merita di essere ricordato è quello dei rapporti tra chi realizza i programmi che implementano la piattaforma e il committente che poi se ne serve. Titolarità delle personalizzazioni, differenza tra licenza illimitata e appalto, ma soprattutto il ruolo che gioca l'esaurimento del diritto, sono tutti temi poco noti e da iniziati, ma che in realtà fanno la differenza tra un rapporto sereno tra le parti e un mare interminabile di problemi, che per di più solitamente emergono a posteriori dopo diversi anni (quasi sempre quando scade il primo periodo di licenza e la piattaforma ha avuto successo) e non giovano dunque né a chi sviluppa software né a chi li usa.


E che dire del "nuovo" problema della titolarità dei risultati dell'applicazione di programmi di intelligenza artificiale e dei nuovi processi che queste intelligenze non umane possono a loro volta creare autonomamente? Anche qui le soluzioni si possono trovare, ma non sono né immediate né intuitive.


In sintesi: il rapporto tra fintech e tutela legale dell'innovazione tecnologica e digitale - nel nostro paese - è un tema nuovo e ancora poco trattato dai professionisti legali, dunque non sempre facile da gestire per le imprese del settore. Eppure - proprio perché si tratta di un terreno poco battuto tanto dai concorrenti quanto dai professionisti - consente ancora soluzioni originali e grandi vantaggi per quelli che riescono a navigare in queste acque con un pizzico di coraggio e con la guida di un buon nostromo legale.

 
 
 

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